IMPORTANT REGULATORY INTERVENTION ABOUT THE INVENTION OF THE SELF-EMPLOYED

13/07/2017

On June 14, the Law of 22 May 2017 no. 81 entered into force, (“Jobs Act for self-employed persons”), which contains some measures concerning the issue of self-employed inventions, including in particular all rights relating to creative inventions and contributions, unless inventive activity is the subject of the contract of employment and is compensated for that purpose.

 

In particular, the regulatory intervention of the discussed topic of the right to self-employment is represented by Art. 4 of the aforementioned law, which states that: “Unless the inventive activity is foreseen as the subject of the employment contract and for that purpose compensated, the economic use rights relating to original contributions and inventions made in the performance of the contract are to self-employed person, in accordance with the provisions of Law 22 April 1941, no. 633, and the Industrial Property Code, as per Legislative Decree no. 30 “.

This article thus incorporates the principles already established in the case-law and doctrine that the self-employed person acquires all the rights to the invention, unless there is an employment agreement with the contractor for such inventive activity and a specific remuneration for this activity.

The legislative intervention in question thus clarifies the difference between self-employment contract rules and those laid down for the subordinate worker, where the employer is, however, entitled to acquire all the rights relating to the invention of the employee, unless otherwise agreed. While in the case of the subordinate worker the rules of the intellectual property code and copyright law shall apply the general principles of labor law and take into account as the holder of rights the role of the employer, resulting in the acquisition of all the faculties of the invention, in the case of the self-employed person is the opposite: the rights attaching to the creations of the self-employed person will be his / her title, unless the client has been concerned about disciplining and paying for the acquisition of the rights to the invention.

It is understood, therefore, that in the case of the self-employed person, the contractual text becomes the sole source of acquisition of the rights of the contractor and the careful preparation of the same is of crucial importance. This need does not exist if the invention is brought to an end by the subordinate worker since it is the same law that prescribes everything to the employer, provided that the inventive tasks are included in the contract.

There is then a further interpretative theme represented by the expression “original contributions” in the article. This expression appears at first glance generic and inaccurate. Indeed, the expression “original contributions” seems to have been deliberately chosen by the legislator in order to involve in a non-selective manner all the original works protected by the rules on intellectual property. However, the use of a generic and not technical expression makes it complex to determine whether the lawmaker intended to limit the novel to inventions and original creations to this assimilate, or whether it also wanted to intercept other than inventions, such as non-proprietary rights (know-how, copyright, etc.). At a first reading of the rule it would seem sustainable that the rule may also include works other than inventions, provided that there is the originality of the self-employed worker’s contribution.


IMPORTANTE INTERVENTO NORMATIVO IN TEMA DI INVENZIONI DEL LAVORATORE AUTONOMO

13/07/2017

Lo scorso 14 giugno è entrata in vigore la Legge 22 maggio 2017, n. 81 (cd. Jobs Act per i lavoratori autonomi) contenente alcune misure per quanto concerne il tema delle invenzioni del lavoratore autonomo, prevedendo in particolare in capo allo stesso tutti i diritti relativi ad invenzioni e apporti creativi, salvo che l’attività inventiva sia oggetto del contratto di lavoro e sia a tale scopo compensata.

 

In particolare, l’intervento normativo di rilievo sotto il profilo del più volte dibattuto tema della titolarità dei diritti dell’invenzione del lavoratore autonomo è rappresentato dall’art. 4 della citata legge secondo cui: “Salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzate nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo le disposizioni di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, e al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30”.

Mediante tale articolo vengono dunque recepiti i principi già consolidati in giurisprudenza e dottrina secondo cui il lavoratore autonomo acquisisce tutti i diritti relativi all’invenzione, salvo che vi sia un accordo di lavoro con il committente avente ad oggetto proprio tale attività inventiva ed uno specifico compenso per la medesima.

La modifica legislativa in questione chiarisce quindi la differenza delle norme in materia di contratto di lavoro autonomo rispetto a quelle previste per il lavoratore subordinato, dove è invece il datore di lavoro ad acquisire tutti i diritti relativi all’invenzione del dipendente, salvo patto contrario. Mentre nel caso del lavoratore subordinato le norme del c.p.i. e l.d.a. applicano i principi generali del diritto del lavoro e prendono in considerazione quale titolare dei diritti la figura del datore del lavoro, con conseguente sua acquisizione di tutte le facoltà relative all’invenzione stessa, nel caso del lavoratore autonomo è il contrario: i diritti afferenti le creazioni del lavoratore autonomo saranno di sua titolarità, salvo che il committente si sia preoccupato di disciplinare e retribuire l’acquisizione dei diritti sull’invenzione.

Si comprende dunque come, nel caso del lavoratore autonomo, il testo contrattuale divenga per il committente unica fonte di acquisizione dei diritti e come sia di essenziale importanza un’attenta redazione dello stesso. Tale necessità non esiste invece qualora l’invenzione venga portata a termine dal lavoratore subordinato poiché è la medesima legge a prescrivere tutto ciò che spetta al datore di lavoro, a condizione che le mansioni inventive siano recepite nel contratto.

Vi è poi un ulteriore tema interpretativo rappresentato dall’espressione “apporti originali” presente nell’articolo in esame. Tale espressione appare a prima vista generica e imprecisa. Invero l’espressione “apporti originali” sembra essere stata volutamente scelta dal legislatore allo scopo di ricomprendere in maniera non selettiva tutte le opere originali protette dalle norme in materia di proprietà intellettuale. L’uso tuttavia di una espressione generica e atecnica rende complesso determinare se il legislatore abbia inteso limitare la novella alle invenzioni e alle creazioni originali a questa assimilabili, o se abbia invece voluto intercettare anche beni diversi dalle invenzioni, come per esempio diritti non titolari (know-how, diritto d’autore, etc.). Ad una prima lettura della norma sembrerebbe sostenibile che la norma possa includere anche opere diverse dalle invenzioni, a condizione che vi sia l’originalità dell’apporto del lavoratore autonomo.


L’APPELLO È INAMMISSIBILE IN MANCANZA DELLA FIRMA DIGITALE SULL’ORIGINALE

05/07/2017

In una sua recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato che la mancanza della sottoscrizione digitale dell’originale dell’atto di citazione in appello determina l’inammissibilità dell’appello stesso per inesistenza dell’impugnazione, non sanabile neppure attraverso la costituzione della parte appellata.

 

Con la sentenza n. 14338 dell’8 giugno 2017, la Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi nuovamente su una delle questioni oggetto di maggior disputa degli ultimi anni, ovvero le conseguenze del mancato rispetto delle disposizioni in materia di notificazione in proprio a mezzo PEC eseguite da parte degli avvocati, che a partire dalla legge n. 53/1994 ha subito notevoli evoluzioni, soprattutto dettate dalla necessità di aggiornarsi e rimanere al passo con le innovazioni tecnologiche degli strumenti informatici impiegati.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Salerno aveva ritenuto inammissibile il giudizio d’appello instaurato attraverso la notificazione di un atto di citazione in appello privo della firma digitale, ritenendo il vizio di cui sopra non sanabile neppure attraverso la costituzione in giudizio della parte appellata, che aveva  sollevato la relativa eccezione. La Corte di Cassazione, interpellata con ricorso, ha quindi confermato la decisione della Corte d’Appello di Salerno circa l’inammissibilità non sanabile dell’appello, provvedendo però a riformarla parzialmente. La Corte ha affermato che la presenza della firma digitale sull’atto informatico è pienamente equiparata alla firma apposta “a mano” su di una versione cartacea dell’atto e tale requisito deve essere inteso come condizione di validità dell’atto introduttivo del giudizio ex art. 125 c.p.c., in quanto strumento idoneo a ricondurre l’atto ad un determinato soggetto.

Tuttavia, ciò che rileva secondo la Suprema Corte, non è soltanto la mancanza della firma digitale sulla copia notificata (profilo sul quale si era incentrata l’impugnazione del ricorrente), ma l’assenza della stessa anche sull’originale dell’atto di citazione, circostanza di per sé sola già in grado di determinare l’inammissibilità dell’appello.

La decisione della Suprema Corte si affranca per la prima volta dai precedenti orientamenti “antiformalistici” che miravano a far prevalere il principio del raggiungimento dello scopo sul rispetto delle disposizioni di legge dettate in materia di notificazioni digitali. Questo approccio, che in un primo momento aveva evitato che i giudici venissero investiti da cavillose eccezioni, aveva evidentemente portato all’estremo opposto, ovvero ad una totale mancanza di ritualità, cui la Corte ha qui ritenuto di dover porre rimedio.


APPEAL IS INADMISSIBLE IF THE ORIGINAL DEED IS NOT DIGITALLY UNDERSIGNED

05/07/2017

The Italian Supreme Court recently held that the lack of a digital signature on the original of the appeal deed determines the inadmissibility of the appeal itself on grounds that the legal challenge is non-existent and cannot be remedied even if the defendant joins the proceedings.

 

With judgment no. 14338 of 8 June 2017, the Italian Supreme Court once again considered one of the matters that has been most disputed in recent years, namely the consequences of the failure to comply with the regulations governing serving by lawyers via certified electronic mail. Such regulations, starting with Law no. 53/1994, have been subject to significant changes mostly brought about by the need to remain in line with the technological evolution of the IT instruments being used.

In this case, the Court of Appeal of Salerno held that the appeal commenced with the serving of a deed of appeal bereft of digital signature was inadmissible in so far as such a defect of the deed could not be remedied even if the defendant joined the proceedings and raised the relevant exception. The Supreme Court agreed with the Court of Appeal of Salerno on the point of inadmissibility but partly changed the decision of the lower court. The Supreme Court stated that the digital signature on the electronic deed is fully identical to the hand signature on a paper version of the deed and such a requirement must be understood to be a condition for the validity of the deed pursuant to art. 125 of the Code of Civil Procedure, in so far as it aides to trace the deed to a specific individual.

However, the Supreme Court held that what is relevant is not only the lack of digital signature of the served copy of the deed (a matter which the petitioner focused on), but also its omission from the original deed, a circumstance which unto itself is sufficient for determining the inadmissibility of the appeal.

The decision of the Italian Supreme Court for the first time abandons the previous “anti-formalistic” approaches that supported the attainment of the objective of a legal deed even if regulations on electronic serving were not fully complied with. This new approach, which initially helped avoid burdening judges with minor exceptions, has evidently led to the opposite result, that is to a total lack of compliance with procedure, which the Court decided to remedy.


IL CASO “THE PIRATE BAY”: PER LA CORTE DI GIUSTIZIA ANCHE I GESTORI DELLA PIATTAFORMA DI CONDIVISIONE DI FILE TORRENT VIOLANO I DIRITTI D’AUTORE

23/06/2017

La Corte di Giustizia, con la sentenza pronunciata il 14 giugno scorso nella causa c-610/15, ha affermato che la messa a disposizione su Internet di contenuti caricati da utenti costituisce una forma di “comunicazione al pubblico”,  attività che deve essere autorizzata dai titolari dei diritti dautore sulle opere.

 

La Stichting Brein, una fondazione dei Paesi Bassi che protegge gli interessi dei titolari del diritto d’autore, ha adito i giudici olandesi per far ingiungere alla Ziggo e alla XS4ALL, fornitori di accesso i cui abbonati utilizzano per la maggior parte la piattaforma di condivisione online “The Pirate Bay”, di bloccare i nomi di dominio e gli indirizzi IP di “The Pirate Bay” al fine di evitare che i servizi di questi fornitori possano essere usati per violare il diritto di autore dei soggetti di cui la Stichting Brein protegge gli interessi.

Le domande di Stichting Brein, accolte in primo grado, sono state tuttavia rigettate in appello.

La Corte Suprema dei Paesi Bassi ha quindi adito la Corte Europea al fine di chiedere se si configuri una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, ad opera del gestore di un sito Internet ove sul sito in parola non si trovino opere protette, ma esista un sistema con il quale vengono indicizzati e categorizzati per gli utenti metadati relativi ad opere protette disponibili sui loro computer, consentendo loro di reperire e caricare e scaricare le opere protette.

Nella recente sentenza la Corte statuisce che la fornitura e la gestione di una piattaforma di condivisione online, quale è “The Pirate Bay”, devono effettivamente essere considerate atti di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29 e in quanto tali sono consentite solamente previa autorizzazione dei titolari dei diritti di autore.

La Corte ha anche affermato che gli amministratori di “The Pirate Bay” non realizzano una «mera fornitura» di attrezzature fisiche ma svolgono un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione delle opere protette. Essi, di fatto, intervengono con piena cognizione delle conseguenze del proprio comportamento, al fine di dare accesso alle opere, indicizzando ed elencando i “file torrent” che consentono agli utenti di localizzare le opere e di condividerle nell’ambito di una rete tra utenti (peer-to-peer).

Tale comunicazione riguarda peraltro un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende un numero considerevole di persone, come anche dichiarato dagli stessi amministratori di “The Pirate Bay” sul proprio sito internet.

Infine, la Corte ha affermato che è incontestabile che la messa a disposizione e la gestione di una piattaforma di condivisione online, come quella di cui al procedimento principale, sono realizzate allo scopo di trarne profitto, dal momento che la piattaforma in questione genera considerevoli introiti pubblicitari.